Quel che vi serve sapere: Dopo aver sventato le trame del malvagio dio Leone e dell’infido dio Iena T’Challa, Pantera Nera e sovrano del Wakanda in carica, ha rinunciato al suo ruolo ed al trono ritenendosi responsabile di quanto accaduto. Si è così trasferito a New York dove ha assunto l’identità di Thomas Chalmers, assistente sociale nel quartiere di Harlem.

Il suo innato senso di giustizia lo ha, però spinto ad iniziare una parallela attività di supereroe urbano con il nome di Leopardo Nero.

Suo zio T’Shan, che ha assunto il ruolo di reggente, d’intesa con Omoro, il capo della sicurezza del Wakanda, lo ha fatto seguire negli Stati Uniti da una delle Dora Milaje, Okoye.

Con l’aiuto di Okoye il Leopardo Nero si è opposto ad un’organizzazione che sta cercando di controllare il mercato della prostituzione e del traffico di esseri umani a New York ed è guidata dal presunto uomo d’affari rumeno Vlad Dinu che è assistito nella sua attività criminale dal figlio maggiore Nicolae e da tre altri suoi connazionali: la bella e spietata Vera Kostantin, il feroce Tiberiu Bulat e d il figlio di quest’ultimo, Cristu.

T’Challa riesce ad assicurare alla giustizia americana Tiberiu e Cristu Bulat ma Vlad Dinu continua a sfuggirgli.

Anche Monica Lynne è tornata a New York dopo la rottura del suo fidanzamento con T’Challa ed ha trovato lavoro come cantante in un night club di Harlem di proprietà di Boss Morgan, uno dei capi della criminalità organizzata locale. Qui ha fatto amicizia con Abe Brown dei Figli della Tigre.

Nel frattempo in Wakanda si è svolto il torneo per determinare chi, tra i parenti di T’Challa sarà la nuova Pantera Nera ed a sorpresa ha vinto M’Koni, alias Mary Wheeler, cugina di T’Challa che ha vissuto per decenni negli Stati Uniti ed ha un figlio che è per metà americano.

Mentre M’Koni si appresta ad affrontare l’ultima e decisiva prova qualcuno trama nell’ombra i guai per il Wakanda non sono ancora finiti.

Si ricomincia da qui.

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Di Carlo Monni & Carmelo Mobilia

 

 

Capitolo 13

 

L’ultima sfida

 

 

 

Manhattan, New York City

 

L’assistente sociale di Harlem Thomas Chalmers, un nero alto, robusto con il volto incorniciato da corti baffi ed una barba rada, entrò nell’aula del tribunale federale a Manhattan dove si stava svolgendo l’udienza di prima comparizione di Tiberiu Bulat, proprio subito dopo che il cancelliere aveva finito di leggere le accuse a suo carico.

Secondo il diritto processuale penale di common law, un accusato deve essere portato dinanzi ad un giudice nel più breve tempo possibile per la contestazione formale delle accuse a suo carico e le decisioni necessarie sulla sua libertà personale. Negli Stati Uniti ciò vale sia per i tribunali statali e territoriali che per quelli federali. Era ciò che stava accadendo al criminale rumeno.

<Come si dichiara l’imputato?> chiese il Giudice.

<Non colpevole, Vostro Onore.> scandì il difensore di Bulat, un giovanotto dai capelli neri dell’apparente età di circa trent’anni.

Il giudice lo guardò incuriosito e commentò:

<Mi risulta, Avvocato Byrnes, che il suo cliente sia stato colto con le mani nel sacco, per così dire.>

<Con tutto il rispetto, Vostro Onore…> replicò Timothy Byrnes <… la dichiarazione di non colpevolezza si fonda sul fatto che l’intera procedura di arresto di Mr. Bulat è stata irregolare ed in particolare egli non è stato correttamente informato dei suoi diritti costituzionali con conseguente invalidità ed inutilizzabilità di ogni elemento a suo carico ottenuto in seguito all’arresto stesso. Per questa ragione chiediamo un’udienza di verifica delle prove e la libertà su cauzione dell’imputato.>

<La Pubblica Accusa si oppone sia alla richiesta di udienza che a quella di libertà su cauzione > intervenne una donna con i capelli ramati che vestiva un tailleur gessato marrone <L’arresto è stato eseguito correttamente e pertanto l’udienza è del tutto inutile, superflua, non necessaria. Quanto alla cauzione, Tiberiu Bulat è un individuo pericoloso, inseguito anche da mandati di cattura di altri paesi per reati gravissimi. Un individuo che non ha esitato ad assalire una proprietà privata e tentare di uccidere agenti federali e poliziotti. [1] Non può e non deve essere lasciato libero.>

<Ha espresso bene il punto di vista della Procura degli Stati Uniti, Mrs… Dreyfuss giusto?> puntualizzò il giudice appoggiandosi allo scranno <La mia decisione è: ammetto l’udienza e nego la libertà su cauzione. Ci ritroveremo qui tra tre giorni.>

I rappresentanti dell’Accusa e della Difesa sgomberarono i rispettivi tavoli. Tim Byrnes sussurrò qualcosa a Tiberiu Bulat un attimo prima che gli U.S. Marshall lo ammanettassero e lo prendessero per riportarlo in cella.

Thomas Chalmers, che in quella che ormai gli sembrava un’altra vita era stato T’Challa, figlio di T’Chaka, Sovrano del Wakanda e Pantera Nera, si guardò intorno. C’erano solo pochi spettatori a quella rappresentazione. Tra i banchi del pubblico, a poca distanza da lui, vide Dora Milton, ovvero Okoye nella sua identità segreta americana, che lo ignorava anche troppo ostentatamente. T’Challa sorrise: la bella wakandana stava prendendo molto seriamente il suo doppio ruolo di vigilante di notte e assistente sociale di giorno a quanto pareva.

Riconobbe anche l’agente dell’Immigrazione Katherine Carter che aveva incontrato la notte precedente nei panni del Leopardo Nero, ma questo lei non aveva bisogno di saperlo.

La ragazza aveva il volto cupo, stava sicuramente rimuginando qualcosa.

In quel momento arrivarono altre due donne che Thomas aveva ormai imparato a conoscere: il Tenente Molly von Richthofen della Divisione Buoncostume della Polizia di New York e l’Agente Speciale del F.B.I. Donna Brandon. Entrambe si avvicinarono a Kathy Carter. Fu il Tenente von Richthofen a parlare per prima.

<Ci siamo perse il divertimento?> chiese <Che è successo?>

<Credo di aver incasinato tutto a causa del mio temperamento.> rispose con tono amaro Kathy <Bulat potrebbe tornare libero.>

<Sciocchezze!> ribatté Molly von Richthofen dopo aver ascoltato le spiegazioni dell’altra <Tu hai fatto tutto secondo le regole ma anche se un idiota di giudice dovesse decidere di liberare Bulat, lo arresto di nuovo io per i reati che ha commesso nella mia giurisdizione.>

“Potrebbe non essere tanto facile” pensò Chalmers a cui non era sfuggita la conversazione.

<Sarebbe stato tutto molto più semplice se tu mi avessi lasciato infilzarlo con la mia lancia.> gli sussurrò Okoye all’orecchio.

<Siamo in America e dobbiamo seguire le loro regole, ricordalo.> rispose lui sottovoce.

<Uhm, non sono sicura che mi piacciano.>

<Puoi sempre tornare in Wakanda.>

<Questo mai. Non ho alcuna intenzione di lasciarti solo, specie dopo la notte scorsa.>

La notte precedente erano cambiate molte cose tra loro.

Era stato solo un momento di passione o qualcosa di più profondo? T’Challa, a non lo sapeva e non aveva alcuna intenzione di ferire i sentimenti di Okoye facendole coltivare false illusioni, tuttavia non poteva negare che ciò che era accaduto lo aveva voluto anche lui e gli era piaciuto.

La vita non era affatto semplice e solo il destino poteva sapere come sarebbe finita.

 

 

Monte Wakanda.

 

M’Koni era ormai arrivata in cima, nella zona in cui solo gli aspiranti sovrani di Wakanda potevano accedere per sostenere l’ultima prova necessaria ad ottenere il ruolo ed il titolo di Pantera Nera.

Quanti avevano fatto quel percorso prima di lei? Qualcuno aveva forse fallito la prova?

Scacciò quei pensieri, non poteva permettersi dubbi proprio adesso.

Forse erano i poteri della Pantera Nera o forse semplice istinto, ma nel momento in cui si chinava per raccogliere l’erba a forma di cuore M’Koni ebbe l’assoluta certezza di non essere più sola.

 

 

Manhattan.

 

Ufficialmente Vlad Dinu, era un imprenditore di successo emigrato dalla Romania, con un’attività perfettamente legale che lo aveva reso ricco, con una bella casa. Aveva un figlio adulto che lo affiancava negli affari ed una seconda moglie molto bella e molto più giovane di lui che gli aveva dato un figlio ancora bambino. Insomma era un perfetto esempio di realizzazione del Sogno Americano.

Quella, però, era solo la facciata dietro alla quale si nascondeva il suo vero io: Vlad l’Impalatore, spietato boss criminale che dirigeva con pugno di ferro un lucroso traffico di donne provenienti perlopiù dall’Europa dell’Est costrette a prostituirsi per le strade o in bordelli clandestini.

Era in quella veste che stava parlando con i suoi due più fidati luogotenenti: suo figlio maggiore Nicolae e l’ex modella rumena di nome Vera Kostantin.

Si rivolse loro nella comune madrelingua:

<Tiberiu è stato stupido. Attaccare a testa bassa. È servito solo a fargli raggiungere il figlio dietro le sbarre. Lo avevo avvisato che conveniva dare ormai per perso l’ultimo carico e passare oltre ma ha voluto fare di testa sua e così, oltre alle ragazze, ci abbiamo rimesso anche una dozzina di uomini. Sono tentato di farlo marcire in galera.> disse Vlad.

<Parli sul serio?> ribattè Vera.

<Se il loro avvocato riuscirà a fare uscire lui e Cristu su cauzione, pagherò ovviamente ma non intendo certo assalire la prigione per liberarli. C’è piuttosto un’altra cosa che mi interessa di più al momento.>

<E sarebbe?> gli chiese Nicolae..

Sul volto di Vlad l’Impalatore si disegnò un’espressione feroce mentre rispondeva:

<Ho promesso al Leopardo Nero che sarebbe morto ed io non prometto mai invano.>

<Vuoi che me ne occupi io?>.

<Hai già qualche idea, forse?>

Il giovane fece un sorriso crudele e rispose:

<Credo proprio di sì. Dimmi solo una cosa: lo vuoi vivo per fargli il solito trattamento?>

<Sarebbe divertente.> commentò Vera <La ragazza che è stata vista con lui, però lasciala a me: ucciderla sarebbe un vero peccato quando la si può usare in modo proficuo.>

Vlad rimase silenzioso, con la schiena appoggiata alla poltrona, le mani giunte sulle labbra e gli occhi socchiusi. Rimase in quella posizione per qualche secondo riflettendo, poi disse:

<Il Leopardo Nero ha dimostrato di essere un avversario molto pericoloso ed anche quella donna in rosso che lo affianca spesso. Se sarà possibile catturarli vivi, così che possa uccidere lui personalmente, meglio. Altrimenti che siano uccisi entrambi ma voglio i loro cadaveri impalati fuori da quel Centro per donne maltrattate in modo che tutti capiscano bene perché mi chiamano Vlad l’Impalatore e quanto poco sia saggio sfidarmi.>

 

 

Birmin Zana, Capitale del Wakanda.

 

La navicella dalla forma aerodinamica atterrò sulla pista riservata ai voli reali scortata da due caccia dell’Aviazione Reale Wakandana.

Ne scese una donna dal fisico statuario che indossava un abito molto succinto che le lasciava nude braccia e gambe. Le prime erano, però, ricoperte da lunghi guanti senza dita che arrivavano sino ai gomiti e da numerosi bracciali; alle seconde sfoggiava un paio di stivali che arrivavano fino al ginocchio ed avevano tacchi talmente alti da far chiedere a chi la stava guardando come facesse a non solo a camminare, ma a mantenere l’equilibrio. A completare il suo vestiario c’erano una grande tiara sulla testa ed un lungo mantello azzurro che arrivava sin quasi al suolo

Alle sue spalle erano scesi anche due uomini in uniforme che si erano messi ciascuno ai suoi lati, sia pure un paio di passi più indietro, e rivolgevano occhiate non propriamente amichevoli agli agenti della sicurezza wakandana che li stavano circondando.

La donna non sembrava curarsene ed ostentando arroganza e sicurezza di sé avanzò verso la delegazione che la stava aspettando a bordo pista composta dal Reggente S’Yan, il Primo Ministro N’Gassi ed il Ministro della Difesa W’Kabi.

<Principessa Zanda, benvenuta in Wakanda.> la salutò S’Yan che vestiva il costume rituale della Pantera Nera ma era a viso scoperto.

Zanda fece una smorfia di disapprovazione e replicò:

<Mi aspettavo un’accoglienza degna del mio rango, ma suppongo che sarebbe stato chiedere troppo a dei barbari come voi wakandani.>

W’Kabi fece un passo verso di lei con un’espressione in volto che non prometteva nulla di buono ma S’Yan stese il braccio sinistro e lo bloccò poi tornò a rivolgersi alla Principessa con voce ferma:

<Ti ricordo, Zanda, che quando sei fuggita dalla Narobia invasa dalle truppe della cosiddetta Federazione Panafricana, hai chiesto asilo a Wakanda e ti è stato concesso.[2] Certo se hai cambiato idea…>

Zanda aveva la faccia di chi era stata appena costretta ad ingoiare un grosso rospo. Le parole che pronunciò subito dopo sembrarono uscire a fatica dalle sue labbra:

<Naturalmente, nobile S’Yan, ti ringrazio di avermi concesso rifugio dopo che il vile attacco del Dottor Crocodile alla mia amata patria mi ha costretta alla fuga per non cadere sua prigioniera.>

<N’Dingi ha appena annunciato che la Narobia ha aderito alla Federazione Panafricana ed il suo ex Primo Ministro ne è stato nominato Governatore provvisorio.> intervenne W’Kabi, che, grazie al sistema di comunicazione nel suo copricapo, era costantemente aggiornato sulle notizie più importanti.

<Quel bastardo traditore!> proruppe, irata, Zanda <Non appena sarò tornata sul trono lo giustizierò personalmente.>

W’Kabi doveva ammettere che quell’arrogante sgualdrina aveva carattere.

<Seguimi, Principessa.> disse S’Yan <Sarai ospite nel Palazzo Reale e confido che troverai la sistemazione di tuo gradimento.>

<Me lo auguro. Vedo che indossi il costume. Ciò vuol dire che non è ancora stata designata la nuova Pantera Nera? Mi era giunta voce che stavolta avevate avuto il buon senso di scegliere una donna. Dov’è adesso la candidata?>

S’Yan avrebbe tanto voluto avere una risposta a questa domanda.

 

 

Monte Wakanda.

 

Mentre era inginocchiata e cominciava a masticare l’erba a forma di cuore M’Koni era sempre più consapevole di essere osservata. I suoi sensi le sembravano sempre più acuti e coglievano adesso un suono portato dal vento, un suono che sembrava una maligna risata.

Si voltò di colpo e vide balzarle addosso una gigantesca iena con una lunga cicatrice sul muso che le attraversava l’orbita vuota di un occhio.

L’impeto portò entrambi a rotolare lungo una scarpata e durante la caduta vennero separati.

M’Koni si guardò intorno e si accorse che il panorama era cambiato: non era più sul Monte Wakanda ma si trovava in una savana sterminata all’ombra di un unico grande baobab.

<<Questa è la tua sfida, figlia.>> le sussurrò forse direttamente nella mente una voce che lei riconobbe per quella del dio Pantera <<Vinci e sarai degna del manto della Pantera Nera; perdi e morirai.>>

Davanti a lei c’era di nuovo la iena che la fissava con sguardo maligno emettendo la sua risata irritante.

M’Koni la riconobbe: era la stessa che stava alla guida del branco di iene e leoni soprannaturali che avevano assalito i fuggiaschi dal Wakanda durante l’usurpazione di T’Shan come Leone Nero.[3] Non era una iena normale, ma qualcosa di più, era ovvio dalla sua stazza e dall’espressione quasi umana del muso.
M’Koni sapeva di non avere scelta e si calò il cappuccio sul volto preparandosi all’inevitabile assalto dell’animale la cui natura era soprannaturale proprio come il luogo in cui si trovavano entrambi.

Per un lungo momento i due contendenti si fissarono in silenzio, poi la iena scattò ancora contro M’Koni.

 

 

New York.

 

Nicolae Dinu era il degno figlio di suo padre. Non solo era il suo braccio destro sia nell’impresa legittima che in quella criminale, ma ne aveva anche ereditato la vena crudele e spietata.

Era anche un amante della bella vita e delle belle donne e le sue conquiste, per quanto effimere fossero, erano spesso oggetto di gossip.

La ricchezza di suo padre gli aveva fatto guadagnare la tessera dell’esclusivo Club Infernale, che era molto più di un comune club per VIP, con accesso esteso ai membri della sua famiglia ed ai loro ospiti ed era proprio lì che Nicolae si trovava quella sera, da solo, niente modelle, starlet o escort di lusso a fargli compagnia per cena e nel dopocena.

C’era un motivo, però, e stava avanzando dritto verso il suo tavolo: era una bellissima ed elegante donna dai capelli neri ed occhi azzurri che dimostrava circa quarant’anni.

La donna si fermò davanti a lui e con una voce appena venata da un accento balcanico che ne accentuava la sensualità, chiese:

<Nicolae Dinu? Ho ricevuto il suo invito. Sono Sasha Montenegro.>

<La ringrazio di aver accettato con un preavviso così breve, Mrs. Montenegro.> replicò Nicolae <La prego, si sieda. Quale che sia l’esito del nostro incontro, lei è mia gradita ospite stasera.>

La donna si sedette. C’era qualcosa nel suo modo di muoversi che a Nicolae fece venire in mente un felino. Molto appropriato, pensò con un sogghigno.

Una cameriera prese le ordinazioni e poi li lasciò soli nella saletta riservata che Nicolae aveva prenotato.

Fu la donna a parlare per prima:

<Lei ha un problema, Mr. Dinu, un problema rappresentato da un grosso leopardo nero.>

Nicolae fece un fischio e replicò:

<Lei è molto ben informata, Mrs. Montenegro.>

<Mi è molto utile nel mio lavoro… che consiste nel risolvere in maniera permanente i problemi di gente come lei e suo padre. Ovviamente per un compenso adeguato alle circostanze.>

Nicolae scrisse una cifra su un foglietto che spinse verso la donna.

<Questo le sembra adeguato?> le chiese.

Lei lesse la cifra, abbozzò un sorriso e replicò:

<Abbastanza.>

Prese a sua volta una penna e tracciò altre cifre sul foglio che restituì a Nicolae dicendo:

<Ma così lo è di più.>

Nicolae fece un altro fischio e commentò:

<Si tratta di una bella cifra.>

<Che Vlad l’Impalatore può permettersi di pagare. Se vuole il meglio, Gospodin Dinu, non può permettersi di tirare sul prezzo.>

<Devo darle ragione. Quindi abbiamo un accordo?>

Sasha Montenegro fece un altro sorriso e rispose:

<La preda che mi chiede di cacciare è molto pericolosa ma per sua fortuna io amo la caccia grossa, quindi, sì: abbiamo un accordo.>

 

 

Piano astrale.

 

Era la sfida finale e M’Koni ne era dolorosamente consapevole. Poco importava che in quel luogo magico ci fosse solo il suo spirito e non il suo vero corpo fisico, perché se fosse morta lì per mano di quella iena, sarebbe morta anche nella realtà, ne era certa.

Evitò di misura l’assalto della iena soprannaturale che, ma lei non poteva saperlo, rispondeva al nome di Mijeledi. Gli artigli della belva lacerarono il suo costume e le provocarono dei tagli superficiali.

Poteva anche essere una proiezione astrale ma il sangue ed il dolore erano decisamente reali.

Per un istante M’Koni si chiese se non avesse preteso troppo da se stessa.

Forse non era adatta ad essere la nuova Pantera Nera, Shuri non avrebbe avuto paura e nemmeno Khanata.

Pensò a suo figlio Billy. Non poteva lasciarlo solo, doveva vivere per lui.

In qualche modo si sentì più rilassata. Restò in attesa del nuovo assalto della iena e quando questo avvenne, spiccò un balzo acrobatico e con un’elegante capriola fu addosso alla iena e la afferrò per il collo. Con tutta la forza di cui era capace spinse verso il basso il collo della belva che emetteva grida stridule agitando le zampe in aria. Alla fine si udì uno schiocco secco e Mijeledi giacque a terra con il collo spezzato.

Lacera e con diverse ferite superficiali M’Koni era viva ed era la vincitrice.

La sagoma gigantesca del Dio Pantera le apparve davanti e disse:

<<Ben fatto, figlia, ti sei dimostrata degna del manto della Pantera Nera. Torna dalla tua gente e sii la saggia governante di cui ha bisogno.>>

<Io… ci proverò.> replicò M’Koni, poi le gambe le cedettero e svenne.

 

 

Monte Wakanda.

                                  

M’Koni crollò al suolo svenuta. Sul suo corpo i segni della lotta appena sostenuta stavano svanendo e non c’era nessuna traccia della iena.

Quanto della sua esperienza era stato reale e quanto un sogno? Non l’avrebbe mai saputo con certezza.

Esanime com’era, non poteva nemmeno rendersi conto che qualcuno la stava guardando, qualcuno che si avvicinò e rimase immobile a guardarla.

 

 

Federazione Panafricana, Stato Federato di Narobia.

 

Questo fino a poco tempo fa era l’ex palazzo reale di Narobia. Era decorato di quadri e statue che rappresentavano i vari membri della famiglia reale che vi avevano risieduto nel corso degli anni e numerosi manufatti riguardanti la loro storia.

Adesso non più.

Dopo il suo colpo di stato, Joshua N’Dingi, il famigerato Dottor Crocodile, sedicente “liberatore” degli stati africani, lo aveva trasformato nel proprio quartier generale provvisorio.

Aveva adibito l’elegante salone principale a suo personale stanza della guerra, dove aveva radunato la sua squadra d’èlite per illustrare loro il prossimo obiettivo.

Tale squadra era composta da alcuni di più temuti guerrieri del continente:

Nakia meglio nota come Malizia, letale e spietata guerriera wakandana ex Dora Milaje; Ohyaku, un’enigmatica combattente burundana, Howitzer, superumano del Mbangawi, potente e spaventoso, doveva però indossare una sorta di armatura per sopravvivere o il suo corpo sarebbe bruciato a causa della sua stessa energia.

Accanto a lui c’era Zenzi, mutante nigandana in grado di manipolare le emozioni delle persone, poi Jono, Baraka alias Askari la Lancia, un altro mutante, originario di Kitara[4], in grado di scagliare lance fatte di energia.

Erano tutti uomini e donne di colore ed erano tutti africani, tranne uno: un misterioso uomo in un’armatura dorata, tipica delle forze aeree speciali del Wakanda che parlava con accento di Harlem. New York.

L’uomo era silenzioso e non lasciava trasparire emozioni tranne una: l’odio. Era chiaro che era il rancore ciò che lo motivava, ma nessuno, tranne, forse Crocodile e Bushman, era a conoscenza del perché di tale risentimento, fatto sta che anche lui aveva aderito alla chiamata di Raoul Bushman, comandante sul campo di Crocodile.

<Per prima cosa, lasciatemi dire che sono fiero del vostro operato: ognuno di voi ha svolto il proprio compito in maniera esemplare. Sarete tutti ottimamente ricompensati al termine della nostra crociata, ve lo garantisco.>

<Qual è il prossimo obiettivo?> chiese Bushman.

Crocodile con un pugnale segnò uno stato sulla cartina.

<Azania. Si è rifiutata di aderire alla nostra campagna e pertanto deve cadere.>

Una smorfia di malcontento apparve sul volto di Bushman.

<Credevo avremmo attaccato il Wakanda...> osservò.

<Già, pure io ero convinto che sarebbe stato il nostro prossimo obiettivo.> disse l’uomo in armatura.

<Sono conscio del vostro desiderio, ma il Wakanda verrà dopo. Sarà l’effetto domino a farla cadere. Prima Azania sarà nostra e prima marceremo sul Wakanda.> disse Crocodile, sicuro e tronfio.

 

 

Birmin Zana.

 

Nella capitale del Wakanda, in quello stesso momento, si stava tenendo una discussione simile. Il reggente in carica S’Yan aveva indetto una riunione del gabinetto d’emergenza: ordine del giorno, la situazione in Azania.

<Come sapete, alcuni piccoli stati vicino al nostro paese hanno aderito alla Federazione Panafricana del dottor N’Dingi. Coloro che si sono rifiutati sono stati presi con la forza.> disse Omoro, il capo dei servizi segreti.

<Il prossimo paese sulla lista di Crocodile è Azania. È da anni che abbiamo stipulato un’alleanza con gli azaniani. Secondo il nostro trattato, se la Federazione attaccherà il paese, il Wakanda dovrà intervenire in sua difesa.>

<La cosa è inevitabile.> osservò il Ministro della Difesa W’Kabi] <Crocodile sta conquistando uno a uno molti stati confinanti con il nostro, grazie alla sua potenza di fuoco superiore. È palese che il suo obiettivo è circondarci per poi attaccarci da ogni lato. La posizione di Azania è strategica, non deve assolutamente cadere in mano loro.>

Tutti i presenti annuirono, consci del pericolo in corso. S’Yan sospirò, e dopo aver riflettuto a lungo, ordinò la mobilitazione generale.

<Muoviamoci. Non ci faremo trovare impreparati.> disse, senza alcuna nota di esitazione nella sua voce.

 

 

Manhattan, Centro Metropolitano Federale di Detenzione.

 

Nell’ala di supermassima sicurezza di questo carcere i detenuti in attesa di processo erano tenuti in stato di assoluto isolamento, senza poter comunicare con l’esterno ad eccezione dei propri avvocati, godendo solo di un’ora al giorno di maggiore libertà.

Tuttavia le misure ultimamente erano diventate meno rigide, a causa della scarsità di personale.

I criminali più capaci, quelli con maggiori risorse, riuscivano a trovare il modo di comunicare con l’esterno.

Tiberiu Bulat era sicuramente uno di essi.

Corrompendo una delle guardie ausiliarie infatti, aveva trovato il modo di comunicare con il figlio Cristu, anche lui detenuto lì: attraverso l’utilizzo di famigerati “pizzini” era riuscito a fargli avere dei messaggi ed a riceverne a sua volta.

Entrambi cercavano un modo di evadere. Entrambi avevano idee e modi per farlo.

Quello che entrambi ignoravano era che nella stessa sezione c’era un detenuto molto speciale: Frank Castle, il Punitore.[5]

Frank era a conoscenza delle loro presenza in quel centro di detenzione, ed era anche a conoscenza dei crimini da loro commessi... e per questo motivo, non aveva nessuna intenzione di farli uscire di lì vivi.

 

Monte Wakanda.

 

Braccia forti e robuste ma insolitamente gentili sollevarono senza alcuno sforzo la svenuta M’Koni.

Appartenevano ad un uomo dell’apparente età di 25 anni dai lunghi baffi spioventi che indossava un costume di pelle di leone.

Era Alyosha Kravinoff, figlio ed erede di Kraven il Cacciatore di cui aveva ripreso il nome di battaglia oltre al tipico abbigliamento.

Era ritornato nel continente dove era nato e cresciuto. Cercava le sue radici oppure aveva altri motivi? Sarebbe stato inutile chiederglielo.

Portando M’Koni tra le braccia, cominciò la discesa dal monte.

Era arrivato quasi a metà strada quando da una svolta del sentiero comparve un giovane uomo che indossava una specie di calzamaglia con le insegne di Wakanda sulle maniche. Al vedere Alyosha con M’Koni in braccio gli si parò davanti apostrofandolo in modo duro:

<Tu,! Cosa le hai fatto?>

<Non le ho fatto nulla.> rispose l’altro quietamente.

<E dovrei crederti?  So chi sei: il figlio di Kraven in Cacciatore e ne hai seguito le orme. Sei un mercenario, un criminale. Chi ti ha pagato per attaccare M’Koni?>

<Sono Kraven e sono quello che hai detto ma ti ripeto, Jiru, che io non ho attaccato la tua regina. Era già svenuta quando l’ho trovata.

Sul viso di Jiru si disegnò un’espressione di autentico stupore.

<Tu sai chi sono?> esclamò.

Kraven sorrise e replicò:

<Mi è stato detto che poco tempo fa un giovane wakandano è venuto a far visita allo stregone del villaggio dove molti decenni fa mio padre ha appreso i segreti delle pozioni che conferiscono la forza e la velocità delle belve della jungla ed egli stesso ha appreso quei segreti, bevuto quelle pozioni per poter affrontare il Leone Nero.[6] Tu sei quel wakandano, non ho alcun dubbio. Sento in te la stessa forza che scorre nelle mie vene.>

<E allora saprai che posso affrontarti anche a mani nude.>

<Hai la forza e la potenza, certo, ma io ho l’esperienza e vincerei.>

Prima che Jiru potesse replicare, M’Koni emise un gemito e riaprì lentamente gli occhi.

<Che succede?> chiese, sconcertata dalla situazione.

<Lieto di vedere che stai bene.> le disse Alyosha.

<Kraven? Che ci fai qui? Mettimi giù!>

Lui la posò delicatamente al suolo e disse:

<Vi assicuro che non ho intenzioni ostili. Ho voluto fare una buona azione, diciamo. Ammiro il coraggio e tu, M’Koni, hai dimostrato di averlo. Hai vento la tua sfida e sarai un’ottima regina.>

<Io… grazie… credo.>

<Che ci fa in Wakanda? Come sei entrato? E perché eri sul monte che è proibito agli stranieri?> incalzò Jiru.

Alyosha non rispose e si limitò a superarlo per poi scendere lungo il sentiero.

Jiru fece per bloccarlo ma M’Koni lo bloccò.

<Lascialo andare.> gli disse <Quali che siano le sue intenzioni, oggi si è meritato una tregua.>

<Come tu, desideri, Mia Regina.> replicò, riluttante, Jiru.

Mia Regina. M’Koni si rese conto che avrebbe dovuto abituarsi ad essere chiamata così. Chi l’avrebbe mai detto?>

<Non mi piace che quel Kraven sia in giro per il Wakanda.> borbottò Jiru.

<Cercheremo di saperne di più in un altro momento. E poi… ho la sensazione che lo rivedremo presto. Ora pensiamo a tornare a casa.>

Jiru non era del tutto convinto ma fece come lei desiderava.

 

 

Harlem Club, Harlem, New York City.

 

La voce di Monica Lynne mentre cantava una vecchia canzone di Billie Holliday era intensa e struggente e quando finì l’applauso del pubblico sorse spontaneo

Monica fece un breve inchino di ringraziamento poi attaccò un nuovo pezzo, stavolta di Aretha Franklin.

Da un tavolo d’angolo, un afroamericano dal fisico atletico la osservava pensieroso.

<La tua ragazza è davvero brava, oltre che essere un bel pezzo di ragazza, ovviamente.> commentò il giovanotto biondo seduto alla sua sinistra.

<Frena i bollenti spiriti, Diamond.> replicò Abe Brown <E non è la mia ragazza, ma solo un’amica.>

<Sono certo che Bob non intendeva dire nulla di male, Abe.> intervenne un giovane cinese seduto allo stesso tavolo con accanto una ragazza giapponese.

<Lin Sun ha ragione.> replicò Robert Diamond <Mi conosci, Abe.>

<Ti conosco, appunto.> ribattè Abe.

<Pare che i tuoi amici ti considerino un incallito playboy, Bob.> intervenne un’attraente rossa con il fisico da modella, cosa che era stata in passato, seduta accanto a Diamond.

<Una volta, forse, Dakota.> replicò lui <Ora ho occhi solo per te, dolcezza.>

Dakota North rise divertita.

Nel frattempo Monica aveva terminato di cantare, era scesa dalla pedana e si era avviata verso il bancone del bar quando un afroamericano calvo sulla quarantina si alzò dal tavolo dov’era in compagnia di una ragazza appariscente e la bloccò dicendo:

<Io e la mia amica gradiremmo che si unisse a noi al nostro tavolo, Miss Lynne.>

Lei scosse il capo e replicò:

<Spiacente ma non mi va.>

L’uomo fece un’espressione torva e le serrò il polso con una mano guantata ed aggiunse:

<Insisto.>

<L’hai sentita, Tallon, la signora non gradisce la tua compagnia, quindi lasciala andare… adesso!>

A parlare era stato Abe Brown la cui espressione non prometteva nulla di buono.

<Non ti intromettere in faccende che non ti riguardano, Brown.> ribatté l’altro.

<Mi riguardano, invece. Monica Lynne, quindi te lo ripeto ancora una volta: lasciala andare altrimenti….>

<Sei bravo a fare la voce grossa spalleggiato dai tuoi amici Figli della Tigre.>

<Non ho bisogno di loro per sistemare uno come te, Tallon. Vuoi una prova?>

Tallon lasciò andare Monica e serrò entrambi i pugni guantati. Per un tempo che parve interminabile i due rimasero a fissarsi in silenzio, poi si udì una voce maschile:

<Adesso basta! Non voglio risse nel mio locale.>

A parlare era stato un afroamericano in smoking con una corta barba e gli occhiali.

<Da quando il locale è tuo, Toomey?> replicò Tallon?

<Da quando Morgan mi ha assunto perché lo dirigessi.> ribatté con calma John James Toomey <Questo è un posto di classe, un concetto che forse ti sfugge, Leroy. Non è uno dei bar dei bassifondi che sei solito frequentare. Sei gentilmente invitato ad andartene. La tua consumazione e quella della tua amica sono offerte dalla Casa per stasera. Lo stesso vale per Mr. Brown ed i suoi amici, ovviamente.>

Per qualche istante Leroy Tallon sembrò considerare l’idea di resistere, poi rifletté: anche se era agli arresti domiciliari per un’inchiesta a suo carico,[7] Boss Morgan era sempre una potenza a Harlem mentre lui era solo un gangster di medio calibro.

Si voltò e se ne andò.

Toomey sospirò di sollievo e si rivolse a Monica:

<Mi scuso per l’increscioso incidente.>

<Non è stato niente.> replicò lei ma la voce la tradiva.

<Ti suggerisco di prenderti una pausa in compagnia di Abe e dei suoi amici prima di riprendere lo show. A proposito, grazie del vostro intervento.>

<Di nulla: mettere al suo posto un bullo come Leroy Tallon è sempre un piacere.> replicò Abe.

<Bene. Ora che è tutto a posto, permettetemi di tornare da mia moglie. A Shauna non piace che la lasci sola troppo a lungo. Come ho detto, siete miei ospiti.>

Toomey si avviò verso un tavolo poco distante dove l’attendeva una donna elegante dall’aria altera.

<Beh, a quanto pare, dovunque andiamo succedono guai. Siamo noi ad attirarli o semplicemente li andiamo a cercare?> chiese in tono divertito Lotus Shinkuko.

<È il grande mistero dei Figli della Tigre.> commentò Bob Diamond ridacchiando.

Abe aiutò Monica a sedersi.

<Tutto bene?> le chiese

<Mi è capitato di peggio in passato.> rispose lei filosoficamente <Mi dispiace che tu ti sia sentito in dovere di intervenire.>

<L’ho fatto volentieri, Monica, e comunque Tallon non mi impensieriva.>

<Tu conoscevi quel tizio, Tallon.> disse Lin Sun. Una costatazione, non una domanda.

Abe annuì.

<È il capo di una delle gang di Harlem. Ci siamo incrociati un paio di volte in passato ma senza mai scontrarci davvero.> replicò.

<Ho sentito parlare di lui.> intervenne Dakota <Ha dato del filo da torcere all’Uomo Ragno qualche anno fa[8] e la prigione non ha certo migliorato il suo carattere. Guardati le spalle, Abe.>

<Lo faccio sempre e non perderò certo il sonno per uno come Tallon.> replicò Abe.

<Bene ora cerchiamo di goderci la serata.> disse Bob Diamond. Visto che siamo ospiti del locale, tanto vale approfittarne. Cameriere, una bottiglia del vostro migliore champagne.>

Qualcuno rise ed il clima si stemperò, il che era esattamente quello che Bob sperava.

 

 

Birmin Zana.

 

La notizia si era sparsa: M’Koni stava tornando, aveva superato la prova, era la nuova Pantera Nera.

I cittadini scesero in piazza per festeggiare ma tra loro c’era anche chi aveva in viso una chiara espressione di disappunto.

<Una donna e per giunta quasi una straniera.> borbottò uno di questi <Un’offesa alle sacre tradizioni del Wakanda.>

<Non è il momento di far valere le nostre ragioni ma arriverà.> replicò un uomo robusto con l’aria autorevole.

M’Koni entrò in città seguita a pochi passi di distanza da Jiru.

S’Yan, N’Gassi ed il resto della Famiglia Reale la stavano aspettando. Dal loro gruppo si staccò un ragazzino che le corse incontro gridando:

<Mamma!>

M’Koni abbracciò suo figlio. Sotto la maschera lacrime le rigarono il volto.

S’Yan s inchinò a lei piegando le ginocchia e disse:

<Mia sovrana.>

<Alzati, zio.> replicò lei sfilandosi il cappuccio <Nessuno deve inginocchiarsi davanti a me e tu meno di tutti.>

<Cittadini di Birmin Zana ascoltatemi!> intervenne N’Gassi <Domani ci sarà la proclamazione ufficiale della nostra nuova sovrana. Festeggiamo fin d’ora la nuova Pantera Nera! Viva Wakanda, viva la Pantera Nera!>

Un urlo si levò dalla folla scandendo le sue ultime parole.

M’Koni avrebbe voluto andare a riposare ma non poteva deludere i presenti e così fece ciò che ogni buon sovrano deve fare: si rivolse verso la folla sorridendo.

 

 

Sutton Place, Manhattan.

 

La donna che si faceva chiamare Sasha Montenegro entrò nella costosa casa di arenaria in cui abitava e fu accolta da una voce provenienti dal salotto:

<Sei tornata, finalmente.>

A parlare era stata una ragazza biondissima, chiaramente adolescente, che indossava una specie di calzamaglia marrone e stava seduta su una poltrona troppo grande per la sua figura minuta.

Sasha avanzò fino a fermarsi davanti a lei.

<Era una cena di lavoro ed ha preso il tempo necessario.> ribattè.

<Deve essere stata una cena molto abbondante.> replicò la ragazzina in tono sarcastico.

<Non devo rispondere a te di quello che faccio. Piuttosto, che ci fai ancora alzata? A quest’ora le brave bambine sono a letto.>

<Non sono una brava bambina, anzi, non sono nemmeno più una bambina. Allora, hai avuto l’incarico?>

Sasha sorrise e rispose:

<Domani notte andremo a caccia di leopardi.>

 

 

CONTINUA

 

 

NOTE DEGLI AUTORI

 

 

            Alcune necessarie osservazioni;

1)     Innanzitutto, in quest’episodio abbiamo avuto solo una breve presenza di T’Challa e nessuna del suo nuovo alter ego il Leopardo Nero per concentrarci sulla nuova Pantera Nera e soprattutto sui cattivi della nostra saga ed a questo proposito…

2)     Kraven II è stato creato da J.M. DeMatteis & Luke Ross su Spectacular Spider Man Vol. 1° #243 datato febbraio 1997.

3)     Nicolae Dinu è stato creato da David Liss & Francesco Francavilla su Black Panther: The Man Without Fear #513 datato febbraio 2011.

4)     Howitzer, è stato creato da John Freeman & Dave Taylor su Gene Dogs #1 datato ottobre 1993.

5)     Zenzi, è stata creata da Ta-Nehisi Coates & Brian Stelfreeze su Black Panther Vol. 6° #1 datato giugno 2016.

6)     Askari la Lancia è stato creato da Chris Claremont & Aaron Lopresti su Excalibur Vol. 3° #11 datato luglio 2005.

7)     Timothy Byrnes è stato creato da Tom De Falco & Ron Frenz su Amazing Spider Man Vol. 1°259 datato dicembre 1984, è l’ex marito della sorella di Mary Jane e socio dello studio legale Sharpe, Byrnes & Hogarth.

8)     Rachel Dreyfuss è stata creata da Fabian Nicieza & Mark Bagley su New Warriors Vol. 1° #21 datato marzo 1992.

9)     Leroy Tallon è stato creato da Len Wein & Sal Buscema su Amazing Spider Man Vol. 1° #155 datato aprile 1976.

10)  Azania è uno Stato inventato da Peter B. Gillis & Dwayne Turner su Black Panther Vol. 2° #1 datato luglio 1988 ed è basata sul Sud Africa e come il Sud Africa, nella continuity MIT è passata da un regime di Apartheid ad un governo della maggioranza di colore.

11)  Il Djanda è stato creato da Robert Rodi & Sean Chen su Elektra Vol. 2° #25 datato settembre 2003.

12)  Chi sono Sasha Montenegro e la ragazzina che abita con lei? Lo scoprirete presto ma nel frattempo consentiteci di mantenere il mistero.

Nel prossimo episodio: Wakanda ha ufficialmente la sua nuova sovrana e molte cose sono destinate a cambiare; il Leopardo Nero torna in azione e tanto altro.

 

 

Carlo

Carlo



[1]Nello scorso episodio.

[2] Dietro le quinte dello scorso episodio.

[3] Ricordate i n. 8 e 9?

[4] L’ex Rudyarda.

[5] Rinchiuso lì dopo gli eventi narrati su Devil & la Vedova Nera #97.

[6] Negli episodi #7/9.

[7] Vedere i recenti episodi di Capitan America.

[8] Molto tempo fa in realtà, su Amazing Spider Man Vol. 1° #155 (Prima edizione italiana Uomo Ragno, Corno, #204)